Può anche darsi sia stata colpa del whisky, ieri sera.

Sono andato a mangiare al ristorante, alla fine il cameriere ha voluto offrirmene un bicchierino e non c’è stato verso di rifiutare. Allora mi sono trattenuto a chiacchierare con lui e un’altra coppia, un ragazzo con la sua compagna, al banco del bar, ognuno con il proprio liquore e del ghiaccio dentro. Sono rimasto più per cortesia che per interesse. Tra l’altro, generalmente, non bevo alcol forti, neppure per annegare i pensieri più scomodi. Al massimo mi gusto un paio di bicchieri di vino, la sera dopocena, tanto per confondere le voci che affollano la mente e mi impediscono di dormire in pace.

Ultimamente queste voci della mente si fanno sentire spesso. Magari capita, per esempio, che ho avuto una mezza litigata con Cirullo. Ed eccole li, le voci, che si radunano poco a poco, una ad una; cominciano a discutere e non si mettono mai d’accordo. C’è la voce sicura di sè: Cirullo si è comportato da stronzo e ho fatto benissimo a dirgliene quattro, nulla da rimproverarmi. Un’altra voce, ancora più ribelle, afferma addirittura che era tempo, finalmente, di esprimere il mio pensiero e che magari è la volta buona che incomincio a tirar fuori le palle.  Ma ecco che interviene una terza voce, di parere diverso, che mi mette nel dubbio: “perchè ho trattato Cirullo così duramente?”. La lotta ha inizio. Una quarta voce, la voce benpensante (antipatica), sempre comprensiva e indulgente con tutti, predica che Cirullo, come me, come tutti, aveva le sue ragioni e che la mia reazione manifesta quanto meno una grossa mancanza di compassione. Il che rafforza il senso di colpa (come se ce ne fosse bisogno), il quale rimbomba nella testa e nelle vene con un vocione sempre più forte. Mi hanno quasi convinto, quand’ecco che la voce ribelle torna in scena e ribatte con calore di averne piene le scatole del nostro comportamento da buon agnellino. Il dibattito prosegue senza tregua, per ore, per giorni, cercando di capire se ho fatto bene a parlare così o se ho esagerato, o se invece avrei dovuto essere ancora più deciso, perdere il controllo e insultare Cirullo fino a farlo piangere!

close-up photo of brown branch in icicle

Capite anche voi che con dentro tutte queste voci non riesco a stare troppo in pace. Forse anche per questo mi sono attardato con la grappa, il barista e la coppia, ieri sera: per cercare un momento di silenzio, dentro. In ogni caso, quando sono rientrato a casa erano già passate le due di notte e la mia camera da letto era più gelida del solito. Senza neppure spogliarmi, mi sono messo sotto le coperte, sperando di scaldarmi in fretta. Niente da fare, tremavo di freddo. Mi sono infilato nel sacco a pelo invernale (comfort fino a dieci gradi sotto zero), ma avevo freddo lo stesso! Del resto persino la pianticella che tengo sul comodino aveva l’aria prostrata. Ho pensato che una doccia calda poteva essere una buona idea: mi sono sfilato dal sacco a pelo, sono andato in bagno, ho acceso l’acqua calda. Inutile! Era fredda! Non è che non ci fosse riscaldamento, è che l’acqua si raffreddava appena usciva dal tubo! Rassegnato, mi sono rimesso nel sacco a pelo, ho aggiunto tre coperte e ho iniziato a contrarre i muscoli delle gambe e delle braccia per tentare di riattivare la circolazione.

Dopo un certo tempo, quando il sonno finalmente cominciava ad arrivare, un violento colpo sullo stomaco mi ha ridato coscienza. Ho spalancato gli occhi e con mia grande sorpresa ho visto, sospeso sopra di me, un grosso bastone bitorzoluto. Chissà da dove era sbucato questo qua; forse era nell’armadio da tempo, nascosto tra i maglioni; magari ce l’aveva messo qualcuno, per farmi uno stupido scherzo; oppure potevano essere state le voci. Ad ogni modo era la, sospeso in aria, senza nessuno che lo manovrasse, una mazza legnosa e rozza. Era piena di bitorzoli verdastri che si muovevano, parevano viventi. Guardandoli meglio, avevano perfino una forma umana, tante piccole faccette, tutte uguali, stempiate, con i denti storti e gli occhi verdi. Avevano un’aspetto famigliare. Ma mentre mi rendevo conto di ciò, il bastone aveva ricominciato a percuotermi, come se fosse manovrato con maestria, ma nella stanza non c’era nessun’altro, ve lo assicuro!

Ed erano soprattutto le faccette a fare male; quando mi raggiungevano, provocavano delle fitte di dolore allucinante. All’apparenza erano viscide, ma quando colpivano si irrigidivano, chiudevano gli occhi e… tam! Poi il bastone si risollevava, ruotava un poco, e… tum! Le faccette mi martoriavano come grossi bulloni di metallo. Battevano sul petto, nello stomaco, sui denti, le maledette. Poi sul naso, cominciai pure a perdere sangue. Mi rigiravo nel letto, ma allora giù un colpo sulla schiena, sbam! e poi sbam!, prima da destra, poi da sinistra. Pum! Ston!

Io non osavo neppure gridare. Il bastone picchiava. Sembrava averci gusto nel scegliere le parti da colpire. Mai due volte nello stesso punto. E anche nei genitali mi picchiava, ovviamente. Proprio là, le faccette usavano pure i denti. Cercavano di strapparmi i peli, di mordermi il glande con i loro incisivi maligni. Un colpo di bastone e una strappata di denti. Un colpo di bastone e una testata sul naso. Un altro colpo e quattro chiodi in mezzo al petto. Chiudevo gli occhi, mi rigiravo e stam!, un colpo dritto sull’osso sacro.

Tra l’altro ghignavano pure, ste faccette. Scendevano lanciandosi un bel grido di incoraggiamento: “Gnaaah!”. Seguito dal colpo, Stram!, e tanti morsetti vicino al ginocchio.
“Gnaaah!”, e Stum!, tra collo e petto. Faticavo a respirare e le sentivo sghignazzare, le faccette ridevano di me.
“Gnaaah!”, e Smash!, due faccette mi avevano morso un capezzolo e le altre a ridere, a bocca aperta, bastarde.
Poi tutte insieme: “Gnaaah!”, scendevano e, Buuum!, sul fianco, ormai in frantumi; e risalendo sghignazzavano.
“Gnaaah!”, e Stum!, sui gomiti, dolorosissimo. Loro sghignazzata diabolica.

C’era anche il sibilo del legno che mi terrorizzava. Quando volteggiava emetteva un suono artificiale: “Vvvv, Vvvv!”: prendeva la mira.
Seguiva lo  “Gnaaah!” delle faccette. E traac!, proprio in mezzo ai testicoli. Sghignazzata.
“Vvvv, Vvvv!”, mira, “Gnaaah!”, spatrac, sulla colonna vertebrale. Sghignazzata.
“Vvvv, Vvvv!”, mira la mia spalla, “Gnaaah!”, con cattiveria, bum!, che male, “ih, ih, ih!”, le faccette mi sghignazzavano nelle orecchie. E le sentivo parlottare tra loro, con diversi cigolii.
E ancora “Vvvv, Vvvv!”, il bastone ruota con precisione, mira, “Gnaaah!”, auto incoraggiamento delle faccette, come se stessero sulle montagne russe, e sbum!, un sonoro colpo in mezzo al cranio, “ih, ih, ih!” ridacchiano soddisfatte e disordinate.
E poi ancora e ancora. E ancora.

Ero tutto indolenzito, per la stanchezza e le ferite. Ne avevo su tutto il corpo. Alcune erano diventate viscide e formavano delle protuberanze. Altre avevano già l’aspetto delle faccette, con quei denti vampirini. E poi constatai che non avevo più braccia. E che le mie gambe formavano ora un tronco unico, nauseamente disseminato di protuberanze ridenti, tutte uguali alla protuberanza più grossa, una testa stempiata, coi denti storti e gli occhi verdi, proprio sopra le mie spalle.

Nella foto: spine.

Il racconto è ispirato a una notte agitata da pensieri parecchio angosciosi.