Sono anni, letteralmente, che volevo salire fino a Rochers de Naye a piedi. Non da Montreux, ripida, ma classica, l’ho già fatto. Volevo salire dall’altra parte.

Vi voglio spiegare come e perché.

Arrivare a Rochers de Naye è semplice. Basta prendere il bellissimo treno a cremagliera che parte dalla stazione di Montreux e scendere 50 minuti dopo e 1500 metri più in alto.

E prendere il treno, non è per comodità, credetemi. Prendere un treno alpino è un obiettivo in sé: assaporare una tecnica ancora antica e potente che ti porta, senza bisogno dell’auto, dai rumori della città ai suoni naturali della montagna.

Questo treno in particolare, Montreux-Rocher de Naye, è sicuramente uno dei miei ricordi più antichi di escursionismo in Svizzera, molto prima di utilizzare le mappe topografiche. Quando programmare un giro significava decidere più o meno fino a che punto spingersi, il più vicino essendo Vevey-Blonay, magnifico ma non ancora alpino, seguito da Montreux-Rocher de Naye, normale, o Aigle-Leysin, il top. E a volte, quando ero davvero depresso, lei mi lasciava, nessuno mi amava, ero solo al mondo, potevamo arrivare fino a Les Diablerets. Sapevo che dovevo arrivare ad Aigle, prendere il treno giusto e iniziare ad ammirare. Godersi la salita nella foresta, i ponti sospesi nel vuoto, la misteriosa fermata che oggi conosco si chiama “Le Sépey” (ma mai il mio umore più basso mi aveva fatto osare di scendere laggiù, perso in mezzo a il mistero del nulla). Poi avrei cercato l’Ufficio del Turismo, preso una mappa stampata e scelto la strada da percorrere, prendendo un caffè per festeggiare l’inizio di una nuova scoperta.

Diversamente, a Rocher de Naye, avrei consultato i segnali gialli per le escursioni e deciso da che parte scendere. Mi sarei accontentato di scegliere tra le direzioni conosciute, verso il punto di partenza.

Ma c’erano anche cartelli che indicavano la direzione opposta, verso dove c’erano solo altre montagne, e forse 5 ore di cammino! Avrei lasciato queste opzioni nel mistero, per un futuro sconosciuto.

Poi la mappa topografica è arrivata sui nostri telefoni. Creare percorsi è diventato un gioco da ragazzi, non più limitato al passaparola o al capolinea di due o tre linee ferroviarie conosciute. Collegare due luoghi conosciuti da un percorso sconosciuto è diventata una routine. All’improvviso, i confini del mistero si sono spinti molto oltre, al di la delle regioni repertoriate. O forse il mistero non è necessariamente nascosto più lontano, è nascosto altrove, nel dettaglio del percorso, nei nascondigli segreti che non possono essere espressi in simboli.

E così ho deciso di salire a Rocher de Naye dall’altra parte. Più precisamente, da Roche, per poter godere di una bella cresta che offre una magnifica vista sul Lago di Ginevra, a sinistra, e su un altro luogo di mistero, a destra, l’alta valle dell’Hongrin. In parte vietata, area di esercitazione militare, dove è meglio chiamare per sapere se sono previste sparatorie prima di andarci (questo non riguarda la nostra salita da Roche, né la cresta, stiamo parlando della valle stessa). Essendo lunedì, la mia salita è stata infatti accompagnata dal suono lontano delle esplosioni di allenamento (normalmente questo non dovrebbe accadere nei fine settimana). Non è che mi piaccia sentire questi rumori durante le mie escursioni, anzi, mi dà necessariamente sensazioni non serene. Ma a metà ha svelato questo mistero: sì, ci sono soldati che si addestrano, ho potuto vedere furgoni, persone in uniforme… e soprattutto dare realtà a ciò che vediamo sulla mappa, come un lago giustamente chiamato “Lago marcio”, o un lago giustamente chiamato “Lago tondo”.

La salita da Roche è dura! Tanta umidità, con 800 metri di dislivello, senza sosta. Allo stesso tempo fa crollare un altro mistero: su questo muro verticale sopra Roche, c’è un sentiero, possiamo prenderlo, non so ancora come possano esserci così tanti alberi su quella che sembra quasi nuda pietra. Ma una volta in cima, siamo felici di camminare sulla cresta già descritta e iniziamo ad intravedere la nostra meta finale.

Solo che presto ho cominciato a scoprire che il mio percorso era ancora coperto di neve (a fine maggio può ancora capitare). Neve semisciolta, piccoli ruscelli sotto, dovevi essere molto vigile in alcuni punti, non troppo pericolo ma non mi sentivo a mio agio.

In più sono stanco della salita. Qui riesco a passare, lì riesco ad aggirare, ma laggiù c’è tutta una superficie bianca che… sono stufo, ne ho già abbastanza, non ne ho più voglia!

E a questo punto torno indietro.

Vedo questo famoso “dall’altra parte”, intellettualmente il mistero è svelato. Ma non so se ho il diritto di “spuntare la casella” senza averla percorsa con le mie gambe.

Dichiaro la mia sconfitta, ma come racconterò di aver avuto paura di una strada innevata in tarda primavera? Non essere arrivato alla cima, quando la cima era lì davanti ai miei occhi?

Cammino veloce, sono incazzato, non voglio perdere altro tempo qui, con questi pensieri e su questa strada sbagliata che devo camminare a ritroso.

Invece di avere un’ora di cammino, me ne restano ancora quattro. Scenderò per il sentiero di Villeneuve, almeno farò una nuova scoperta. È una valle e il percorso è facile. Ho fatto bene. Non sono in montagna per aver paura di scivolare a ogni passo. Preferisco qui, in questa valle con gli alberi, vicino a questo fiume. Ma in effetti non è affatto male, mi avevano detto che l’ascesa di Villeneuve è una strada in asfalto, non è vero! Il percorso è ben curato, con trucioli di legno in alcuni punti, nuovi alberi piantati in molti posti, forse stanno preparando un nuovo percorso…

Inoltre, potrei anche spuntare due caselle (e non nessuna) contemporaneamente, con questa discesa non pianificata.

E il mio corpo, non sa se sto camminando dove volevo andare oppure no, avrà la stessa fatica alle gambe, le stesse belle sensazioni nei muscoli stasera e domani.

Alla fine la discesa dura molto meno delle 4 ore che avevo pensato ed è bello arrivare alla stazione di Villeneuve, comprare qualcosa da mangiare e prepararsi per la serata che porterà riposo.