Il mio nome è Orion.

Ma rispondo al suono “Micio”.

Lo so, non c’entra niente col mio vero nome, e infatti ci ho messo un bel pò ad abituarmici. I primi mesi, quando il mio Grandio e la mia Grandea mi chiamavano, rispondevo una volta si e tre no. Ma ora mi ci sono identificato bene: “micio vieni qui”, “micietto tesoro”, “micino”… si, sono io.

Il mio nome è Orion e sono qui che mi scaldo al sole e mi godo l’aria che entra dalla finestra aperta, beato. Vi sembrerà probabilmente normale che io me ne stia qui dietro la finestra aperta di casa dei miei Grandei, ma non lo è. O meglio, c’è stato un tempo in cui non lo è stato.

C’è stato un tempo in cui la sola vista della finestra bastava a farmi crescere l’eccitazione in tutto il corpo. Non mi si poteva tenere più, se i miei Grandei non fossero stati attenti, me ne sarei scappato da tempo, quante volte ci ho pensato! Oramai è acqua passata, ci rido sopra. 

Quindi ora ve lo posso dire il perchè: era colpa delle Gatte.

Già.

Le Gatte erano animali più o meno della mia forma (non come i Grandei che sono animali molto diversi), che provocavano in me i più forti e incontrollati desideri che si possano concepire. In realtà, vi parlo di una Gatta, l’unica che che ogni tanto passava fuori da questa finestra. Grassotta, non molto sveglia, ma con un pelo così liscio, lungo e pulito da farmi scorrere i brividi per tutto il dorso solo a pensarlo. Me l’immaginavo il suo corpo grassotto, tra le mie zampe, premuto sotto al mio ventre, miagolante di protesta o di piacere come me. Queste immaginazioni mi mandavano talmente fuori di me, che il mio Grandio mi doveva chiudere in una stanza senza finestre per calmarmi. Calmarmi! Non era cosa da subito, poichè in quella stanza le mie immaginazioni anzichè calmarsi… ne vedevo quattro o cinque di Gatte e me le immaginavo come volevo io, col pelo più o meno lungo, quelle snelle, quelle vivaci, quelle grassotte, alcune coi baffi lunghi, altre senza. E facevo i sogni più stravaganti, di essere il padrone di un mucchio di gatte, di azzuffarmele, possederle tutte quante tra le mie zampe e mi piaceva in particolare immaginarmele ognuna con una miagolata sua specifica, unica.

A volte era la Grandea che veniva a calmarmi. Lei non mi chiudeva nella stanza, mi prendeva invece contro il suo corpo, quasi fossi io la Gatta, e mi strofinava con le sue mani. Mmmh, le sue mani che grattavano dappertutto, mi facevano dimenticare per un pò le mie gatte immaginarie e mi addormentavo consolato dal mio ronron.

Ma non c’erano solo le Gatte a turbarmi fuori da quella finestra.

C’erano anche i Gatti. Anche i Gatti erano animali della mia forma, anche più simili che le Gatte, ma l’eccitazione che mi provocavano era di tutt’altro genere. Alla vista di un Gatto diventavo ancora più violento che con le Gatte. Avreste dovuto vedermi, come rizzavo i peli tanto da raddoppiare la mia dimensione. E anche oggi mi vergogno a confessare il piacere che provavo nel tendere le unghie, ben allo scoperto, pronto ad usarle. In quei momenti il mio unico desiderio sarebbe stato azzuffarmi, graffiare, dritto negli occhi li avrei colpiti, se avessi potuto uscire da questa finestra.

Ma tanto forte era l’eccitazione provocata dai Gatti, tanto rapida era a sparire. Non c’era neppure bisogno di chiudermi nella stanza buia. Mi bastava perderli d’occhio un istante e mi ricordavo che il mio cibo mi attendeva sempre la, nel solito angolo, preparato come sempre dal mio Grandio e la mia Grandea. E se proprio non mi bastava, avevo pure il mio “rifaci-unghie”, su cui potevo sfogare gli ultimi resti delle voglie assassine che provavo.

Ho un altro ricordo strano di quel periodo. Mi mettevano sdraiato su un divano. E dovevo miagolare per un pò a un altro Grande (non ho mai capito se era un Grandio o una Grandea).  Non che avessi molto da dire, le stesse cose che sto scrivendo qui, ma ripetute in mille variazioni. E questo Grande ascoltava, interveniva, spesso non capiva e soprattutto non comunicava molto di sè. Solo qualche volta, si, mi è sembrato che avesse come un espressione di approvazione, di incoraggiamento. Stranamente si trattava di quando esprimevo in qualche modo il mio desiderio di voler scappare da questa finestra e lasciare il Grandio e la Grandea per sempre. E andare finalmente a scoprire le Gatte e i Gatti veri, la fuori.

Ma è un pensiero che non ho più: ho imparato a gestire le mie fantasie. Non c’è più bisogno nemmeno di chiuderla, la finestra. I miei Grandei lo sanno che ho capito, non desidero più partire. Vado con regolarità nel mio angolo del mangiare e quando arriva la Grandea mi lancio dritto nelle sue braccia. E in pochi istanti mi addormento ronronnando. 

E il mio “rifaci-unghie” non so nemmeno più dove sia.

Il gatto nella foto vive in qualche bar di Buenos Aires.

Il racconto è ispirato a un episodio personale di gatto-sitter.